Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


lunedì 22 luglio 2013

MOLTI PALESTINESI TRA 61 MIGRANTI IN NAUFRAGIO BARCONE MIGRANTI

L'imbarcazione e' affondata all'alba davanti alle coste turche a causa del sovraffollamento. Tra le vittime anche siriani e iracheni.

lunedì 22 luglio 2013 21:15


della redazione
  Roma, 22 luglio 2013, Nena News - Almeno 61 migranti, tra cui palestinesi e siriani, più della metà dei quali bambini, sono morti dopo che la loro barca è affondata alcune decine di metri al largo della costa occidentale della Turchia Egeo. Lo riferisce l'agenzia di stampa Reuters.

Tahsin Kurtbeyoglu, governatore del distretto di Menderes, nella provincia di Izmir, ha detto che l'imbarcazione e' affodata all'alba a causa del sovraffollamento. La sua destinazione era ignota ma la cittadina turca di Ahmetbeyli da dove era partita, a pochi chilometri dall'isola greca di Samos, è un punto di partenza comune per i migranti che cercano di entrare nell'Unione europea. "Il bilancio delle vittime è di 61, di cui 12 uomini, 18 donne, 28 bambini e tre bambini," l'ufficio del governatore di Smirne, ha detto in una dichiarazione. L'ufficio del governatore di Izmir ha aggiunto da parte sua che i sopravvissuti sono palestinesi e cittadini siriani, come molti dei morti. I media turchi hanno detto che c'erano anche gli iracheni sulla barca. Secondo l'Onu 1.500 immigrati, per lo più provenienti dall'Africa, sono morti nel tentativo di raggiungere le coste europee l'anno scorso con le rivolte in Tunisia e in Libia. Nena News 



Fonte:


SIRIA, SEI BAMBINI UCCISI INSIEME ALLA LORO FAMIGLIA







L’ong Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh) riporta la testimonianza di un abitante del villaggio: “Un parente è venuto oggi a far visita ai suoi familiari e ha trovato i cadaveri degli uomini fucilati riversi all’esterno. All’interno di una stanza ha trovato le donne e dei bambini, i cui corpi erano stati bruciati“. Bayda non è nuova ad episodi del genere: lo scorso maggio 110 persone, tra cui molti bambini, erano state trucidate.
Scontri e bombardamenti si sono verificati anche in altre zone del Paese come ad Ariha, nella provincia di Idlib, dove 13 persone sono morte sotto le bombe, e a Damasco dove 49 ribelli siriani sarebbero stati uccisi dalle forze fedeli al regime. Gravi scontri si sono registrati anche tra le varie fazione dei ribelli e in particolare tra milizie curde e jihadisti.



Fonte:

In memoria di Naji Al-Ali


Il più popolare e influente cartoonist politico palestinese viene ucciso davanti alla sua abitazione a Londra. L'assassino è sconosciuto, anche se l'agenzia di intelligence israeliana, il Mossad, è il primo sospettato.


Ideatore dell'Handala, nacque nel 1937 in un piccolo villaggio nell'alta Galilea, fra Nazareth ed il lago di Tiberiade. La sua famiglia, composta da quattro figli, oltre al padre ed alla madre, era la classica famiglia contadina che viveva della coltivazione della terra intorno all' abitazione.
Negli anni quaranta Asciagiara, subì numerosi attacchi militari da parte dei coloni per poi essere raso al suolo definitivamente nel 1948.
Chi riuscì a sopravvivere al massacro cercò una sistemazione di fortuna nei vari campi profughi che l'ONU stava allestendo nella regione. La famiglia di Naji Al-Ali trovò rifugio nel campo profughi di Ein Al-Hilwe, vicino a Sidone, nel sud del Libano.
«Lì, la vita era al limite della dignità umana, vivevamo in sei in un'unica tenda la metà della quale era stata trasformata in una sorta di spaccio dove mio padre vendeva le sigarette, gli ortaggi, ed altri oggetti di poco valore»
Agli inzi degli anni cinquanta, Naji si trasferi a Beirut alla ricerca di un lavoro. Come casa aveva una tenda offertagli dall'UNRWA nel campo profughi di Chatila. Negli anni ’50, dopo vari spostamenti nei paesi arabi in cerca di lavoro, tornò in Libano e si iscrisse all' "Accademia delle Belle Arti" di Beirut. Durante gli studi fece esperienza politica, che fu causa di ben sei arresti, ma ben presto abbandonò il partito ritenendosi non adatto alla militanza partitica.
Negli anni a seguire orientò il suo talento artistico verso forme d’arte come la “caricatura”, già utilizzata come "mezzo di comunicazione" durante la sua prigionia. La caricatura poteva e doveva svolgere un ruolo importante nella sensibilizzazione e nella mobilitazione delle masse per la difesa dei propri diritti. Cosi l'arte diventò per Naji Al-Ali un dovere in quanto strumento di lotta.
Naji Al-Ali riuscì a costruirsi una solida formazione, che gli consentì di affermarsi su diversi giornali e riviste. In tutta la sua vita, non cercò la fama, e ancor meno il successo economico. Mirò unicamente a servire il suo popolo e la sua patria, pagando a caro prezzo le sue idee ed il compito che si era prefissato. La sua coerenza ed onestà intellettuale infatti lo costrinsero all’esilio dal mondo arabo e la sera del 22/7/1987, a Londra, uno sconosciuto gli sparò.
Naji morì, lasciando in eredità al suo popolo, e al mondo, circa 40.000 vignette, frutto di 25 anni di instancabile e appassionata attività in favore degli oppressi di tutto il mondo.
 

 
«Io milito per la causa palestinese e non per le singole fazioni palestinesi. Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palestina, che per me si estende dall'Oceano Atlantico fino al Golfo. I miei personaggi sono pochi, il ricco e il povero, l'oppressore e gli oppressi... e non mi sembra che la realtà si discosti molto da questo».

Naji Al-Ali (Galilea 1937 / Londra 1987)




Fonte:



Il più popolare e influente cartoonist politico palestinese viene ucciso davanti alla sua abitazione a Londra. L'assassino è sconosciuto, anche se l'agenzia di intelligence israeliana, il Mossad, è il primo sospettato.
Ideatore dell'Handala, nacque nel 1937 in un piccolo villaggio nell'alta Galilea, fra Nazareth ed il lago di Tiberiade. La sua famiglia, composta da quattro figli, oltre al padre ed alla madre, era la classica famiglia contadina che viveva della coltivazione della terra intorno all' abitazione.
Negli anni quaranta Asciagiara, subì numerosi attacchi militari da parte dei coloni per poi essere raso al suolo definitivamente nel 1948.
Chi riuscì a sopravvivere al massacro cercò una sistemazione di fortuna nei vari campi profughi che l'ONU stava allestendo nella regione. La famiglia di Naji Al-Ali trovò rifugio nel campo profughi di Ein Al-Hilwe, vicino a Sidone, nel sud del Libano.
«Lì, la vita era al limite della dignità umana, vivevamo in sei in un'unica tenda la metà della quale era stata trasformata in una sorta di spaccio dove mio padre vendeva le sigarette, gli ortaggi, ed altri oggetti di poco valore»
Agli inzi degli anni cinquanta, Naji si trasferi a Beirut alla ricerca di un lavoro. Come casa aveva una tenda offertagli dall'UNRWA nel campo profughi di Chatila. Negli anni ’50, dopo vari spostamenti nei paesi arabi in cerca di lavoro, tornò in Libano e si iscrisse all' "Accademia delle Belle Arti" di Beirut. Durante gli studi fece esperienza politica, che fu causa di ben sei arresti, ma ben presto abbandonò il partito ritenendosi non adatto alla militanza partitica.
Negli anni a seguire orientò il suo talento artistico verso forme d’arte come la “caricatura”, già utilizzata come "mezzo di comunicazione" durante la sua prigionia. La caricatura poteva e doveva svolgere un ruolo importante nella sensibilizzazione e nella mobilitazione delle masse per la difesa dei propri diritti. Cosi l'arte diventò per Naji Al-Ali un dovere in quanto strumento di lotta.
Naji Al-Ali riuscì a costruirsi una solida formazione, che gli consentì di affermarsi su diversi giornali e riviste. In tutta la sua vita, non cercò la fama, e ancor meno il successo economico. Mirò unicamente a servire il suo popolo e la sua patria, pagando a caro prezzo le sue idee ed il compito che si era prefissato. La sua coerenza ed onestà intellettuale infatti lo costrinsero all’esilio dal mondo arabo e la sera del 22/7/1987, a Londra, uno sconosciuto gli sparò.
Naji morì, lasciando in eredità al suo popolo, e al mondo, circa 40.000 vignette, frutto di 25 anni di instancabile e appassionata attività in favore degli oppressi di tutto il mondo.

«Io milito per la causa palestinese e non per le singole fazioni palestinesi. Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palestina, che per me si estende dall'Oceano Atlantico fino al Golfo. I miei personaggi sono pochi, il ricco e il povero, l'oppressore e gli oppressi... e non mi sembra che la realtà si discosti molto da questo».
- See more at: http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/story/memoria-di-naji-al-ali#sthash.NBlQWih1.dpuf
Il più popolare e influente cartoonist politico palestinese viene ucciso davanti alla sua abitazione a Londra. L'assassino è sconosciuto, anche se l'agenzia di intelligence israeliana, il Mossad, è il primo sospettato.
Ideatore dell'Handala, nacque nel 1937 in un piccolo villaggio nell'alta Galilea, fra Nazareth ed il lago di Tiberiade. La sua famiglia, composta da quattro figli, oltre al padre ed alla madre, era la classica famiglia contadina che viveva della coltivazione della terra intorno all' abitazione.
Negli anni quaranta Asciagiara, subì numerosi attacchi militari da parte dei coloni per poi essere raso al suolo definitivamente nel 1948.
Chi riuscì a sopravvivere al massacro cercò una sistemazione di fortuna nei vari campi profughi che l'ONU stava allestendo nella regione. La famiglia di Naji Al-Ali trovò rifugio nel campo profughi di Ein Al-Hilwe, vicino a Sidone, nel sud del Libano.
«Lì, la vita era al limite della dignità umana, vivevamo in sei in un'unica tenda la metà della quale era stata trasformata in una sorta di spaccio dove mio padre vendeva le sigarette, gli ortaggi, ed altri oggetti di poco valore»
Agli inzi degli anni cinquanta, Naji si trasferi a Beirut alla ricerca di un lavoro. Come casa aveva una tenda offertagli dall'UNRWA nel campo profughi di Chatila. Negli anni ’50, dopo vari spostamenti nei paesi arabi in cerca di lavoro, tornò in Libano e si iscrisse all' "Accademia delle Belle Arti" di Beirut. Durante gli studi fece esperienza politica, che fu causa di ben sei arresti, ma ben presto abbandonò il partito ritenendosi non adatto alla militanza partitica.
Negli anni a seguire orientò il suo talento artistico verso forme d’arte come la “caricatura”, già utilizzata come "mezzo di comunicazione" durante la sua prigionia. La caricatura poteva e doveva svolgere un ruolo importante nella sensibilizzazione e nella mobilitazione delle masse per la difesa dei propri diritti. Cosi l'arte diventò per Naji Al-Ali un dovere in quanto strumento di lotta.
Naji Al-Ali riuscì a costruirsi una solida formazione, che gli consentì di affermarsi su diversi giornali e riviste. In tutta la sua vita, non cercò la fama, e ancor meno il successo economico. Mirò unicamente a servire il suo popolo e la sua patria, pagando a caro prezzo le sue idee ed il compito che si era prefissato. La sua coerenza ed onestà intellettuale infatti lo costrinsero all’esilio dal mondo arabo e la sera del 22/7/1987, a Londra, uno sconosciuto gli sparò.
Naji morì, lasciando in eredità al suo popolo, e al mondo, circa 40.000 vignette, frutto di 25 anni di instancabile e appassionata attività in favore degli oppressi di tutto il mondo.

«Io milito per la causa palestinese e non per le singole fazioni palestinesi. Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palestina, che per me si estende dall'Oceano Atlantico fino al Golfo. I miei personaggi sono pochi, il ricco e il povero, l'oppressore e gli oppressi... e non mi sembra che la realtà si discosti molto da questo».
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Il più popolare e influente cartoonist politico palestinese viene ucciso davanti alla sua abitazione a Londra. L'assassino è sconosciuto, anche se l'agenzia di intelligence israeliana, il Mossad, è il primo sospettato.
Ideatore dell'Handala, nacque nel 1937 in un piccolo villaggio nell'alta Galilea, fra Nazareth ed il lago di Tiberiade. La sua famiglia, composta da quattro figli, oltre al padre ed alla madre, era la classica famiglia contadina che viveva della coltivazione della terra intorno all' abitazione.
Negli anni quaranta Asciagiara, subì numerosi attacchi militari da parte dei coloni per poi essere raso al suolo definitivamente nel 1948.
Chi riuscì a sopravvivere al massacro cercò una sistemazione di fortuna nei vari campi profughi che l'ONU stava allestendo nella regione. La famiglia di Naji Al-Ali trovò rifugio nel campo profughi di Ein Al-Hilwe, vicino a Sidone, nel sud del Libano.
«Lì, la vita era al limite della dignità umana, vivevamo in sei in un'unica tenda la metà della quale era stata trasformata in una sorta di spaccio dove mio padre vendeva le sigarette, gli ortaggi, ed altri oggetti di poco valore»
Agli inzi degli anni cinquanta, Naji si trasferi a Beirut alla ricerca di un lavoro. Come casa aveva una tenda offertagli dall'UNRWA nel campo profughi di Chatila. Negli anni ’50, dopo vari spostamenti nei paesi arabi in cerca di lavoro, tornò in Libano e si iscrisse all' "Accademia delle Belle Arti" di Beirut. Durante gli studi fece esperienza politica, che fu causa di ben sei arresti, ma ben presto abbandonò il partito ritenendosi non adatto alla militanza partitica.
Negli anni a seguire orientò il suo talento artistico verso forme d’arte come la “caricatura”, già utilizzata come "mezzo di comunicazione" durante la sua prigionia. La caricatura poteva e doveva svolgere un ruolo importante nella sensibilizzazione e nella mobilitazione delle masse per la difesa dei propri diritti. Cosi l'arte diventò per Naji Al-Ali un dovere in quanto strumento di lotta.
Naji Al-Ali riuscì a costruirsi una solida formazione, che gli consentì di affermarsi su diversi giornali e riviste. In tutta la sua vita, non cercò la fama, e ancor meno il successo economico. Mirò unicamente a servire il suo popolo e la sua patria, pagando a caro prezzo le sue idee ed il compito che si era prefissato. La sua coerenza ed onestà intellettuale infatti lo costrinsero all’esilio dal mondo arabo e la sera del 22/7/1987, a Londra, uno sconosciuto gli sparò.
Naji morì, lasciando in eredità al suo popolo, e al mondo, circa 40.000 vignette, frutto di 25 anni di instancabile e appassionata attività in favore degli oppressi di tutto il mondo.

«Io milito per la causa palestinese e non per le singole fazioni palestinesi. Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palestina, che per me si estende dall'Oceano Atlantico fino al Golfo. I miei personaggi sono pochi, il ricco e il povero, l'oppressore e gli oppressi... e non mi sembra che la realtà si discosti molto da questo».
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19 LUGLIO IN CLAREA, LA LUNGA NOTTE DEI NO TAV: ARRESTI E VIOLENZE SUI MANIFESTANTI

 
21 luglio 2013 at 22:48

Mattia 17 anni e il pestaggio (VIDEO)



ADG-polizia-violenta 

Qui di seguito il racconto di Mattia, giovane No Tav 17enne che venerdì è stato tra i fermati dalle forze dell’ordine durante la passeggiata notturna, ma che dopo qualche ora è stato rilasciato con una denuncia a piede libero.
Arrivato nel tardo pomeriggio al presidio di Venaus, dopo essere stato dimesso dall’ospedale di Rivoli, ci ha raccontato di quelle drammatiche ore lasciandoci poi con una promessa: tornerò presto!
Buona guarigione Mattia, giovane No Tav!






Fonte:

http://www.notav.info/post/mattia-17-anni-e-il-pestaggio-video/ 





  20 luglio 2013 at 22:23

No Tav, la denuncia dell’attivista pisana: “Manganellate, insulti e palpeggiamenti da parte delle forze dell’ordine”



da huffingtonpost.it

conferenza stampa dei no tav a susa ---Alessandro Contaldo/Photonews--- 

“Da quando mi hanno fermata a quando mi hanno portata all’interno del cantiere sono stati dieci minuti di follia. Ho ricevuto una manganellata in faccia, mi hanno toccata nelle parti intime e mi hanno insultata”. A parlare, durante la conferenza stampa organizzata dal movimento No Tav a Susa (Torino), è Marta Camposana, attivista pisana di 33 anni che è stata denunciata per resistenza.
“Le forze dell’ordine – ha raccontato – ci hanno chiusi con due cariche e bersagliati con una pioggia di lacrimogeni. Poi sono stata colpita da una manganellata alle spalle e trascinata a terra. Una volta nel cantiere ho detto che avevo bisogno di un medico, ma mi hanno nuovamente insultata e portata al pronto soccorso soltanto quattro ore dopo, alla fine delle procedure in questura, dove mi hanno denunciata solo perché avevo del Maalox e dei limoni per contrastare i lacrimogeni”.
“Gli arrestati della scorsa notte sono degli eroi”, ha sostenuto poi Nicoletta Dosio, portavoce del movimento No Tav, durante la conferenza stampa successiva agli scontri al cantiere di Chiomonte. ”Ero presente anche io – ha aggiunto – e le forze dell’ordine hanno sparato lacrimogeni ad altezza d’uomo anche sulla gente che defluiva. E’ stata usata violenza inaudita. Oggi siamo qui per dire basta”. Secondo Dosio, i pubblici ministeri Andrea Padalino e Antonio Rinaudo erano presenti all’interno del cantiere “soltanto per convalidare arresti già decisi”.


Fonte:

http://www.notav.info/top/no-tav-la-denuncia-dellattivista-pisana-manganellate-insulti-e-palpeggiamenti-da-parte-delle-forze-dellordine/

20 luglio 2013 at 19:24 

Libertà per gli arrestati No Tav!


def 

Una violenza preannunciata quella della Questura che ieri sera, non appena è partita la passeggiata notturna da Giaglione, già emanava farneticanti comunicati paventando lo spauracchio del black block travisato tra i manifestanti valligiani.
Una violenza preordinata quella delle forze dell’ordine, che caricano  con la celere i No Tav ancora distanti dalle reti e completamente a freddo. Lo fanno all’interno di un sentiero di montagna strettissimo e pericoloso dove la gente cade, viene calpestata e poi ferita, ripetutamente, dai manganelli di ordinanza e inseguita addirittura nei boschi (già affumicati dai fumi illegali sparati dalla polizia). Da segnalare all’interno del cantiere la presenza dei due mastini della procura che hanno l’ossessione dei No Tav, Padalino e Rinaudo, erano li per caso oppure già sapevano che avrebbero fatto degli arresti?
Ci sono molti anziani tra i più di cinquecento manifestanti, sono loro i primi a non farcela a scappare e gruppi di più giovani provano a frapporsi: tra di loro troviamo i 7 arrestati di cui la Questura di Torino, per mano del vendicativo Petronzi, si vanta.
Ennio, Luke, Matthias, Piero, Marcello, Gabriele e Alberto sono i sette arrestati di questa notte di violenza, notte in cui il movimento No Tav ha dimostrato una volta in più cosa vuol dire lottare e resistere tutti insieme, anche nei momenti difficili.
La presenza delle forze dell’ordine all’interno del cantiere è quella delle grandi, anzi grandissime occasioni, con numerosi mezzi e uomini a disposizione degli esaltati questurini. Come scritti poc’anzi, li troviamo subito fuori dalle reti e la loro intenzione è chiara: vogliono picchiare e fare male.
Ci riusciranno perché oggi contiamo 63 feriti tra i No Tav, escludendo da questo conto le semplici contusioni e intossicazioni da gas lacrimogeni che oramai non fanno più testo.
Oggi alle 15.00 al presidio internazionale di Susa il Movimento No Tav ha denunciato con forza, attraverso una conferenza stampa, la notte appena trascorsa.
Parole di rabbia verso chi si è macchiato dei reati più infamanti, come nel caso di Marta compagna Pisana rilasciata in mattinata che, catturata con gli altri, mentre veniva brutalmente pestata è stata molestata, sessualmente, dai celerini.
C’è anche il caso di Mattia, ragazzo 17enne che per due ore è stato picchiato dalla polizia ed è tornato in presidio solo nel tardo pomeriggio, per lui come per Marta un denuncia a piede libero ma nessun arresto.
Stiamo raccogliendo racconti e testimonianze di questa notte, ma ciò che è importante sottolineare è che il movimento ha dimostrato una volta di più che anche in una situazione difficile si diventa un’unica forza, compatta, in grado di resistere e anche di contrattaccare.
La Questura questa volta si è tolta il dente avvelenato e noi, consapevoli di aver di nuovo visto la vera faccia del potere, o meglio di chi lo serve, ci stringiamo attorno agli arrestati, rilanciando a  tutte le iniziative che già da stasera animeranno quest’estate di lotta in Valsusa.
La lotta No Tav non si arresta!
Liberi tutti, liberi subito!

Fonte: