Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


giovedì 24 gennaio 2013

Guido Rossa: una tragedia operaia


Dal blog http://primadellapioggia.blogspot.it/ di Marco Clementi:
Il 24 gennaio 1979 il sindacalista Guido Rossa veniva ucciso dalle Brigate Rosse a Genova.
Rossa lavorava all'Italsider di Genova e pochi mesi prima aveva notato che un operaio, Francesco Berardi, si trovava spesso vicino a luoghi in cui venivano lasciati volantini delle Br. Alla fine di ottobre del 1978 Rossa segnalò Berardi alla vigilanza e nel suo armadietto fu ritrovato materiale propagandistico della formazione armata.
Berardi venne arrestato e condannato a quattro anni e sei mesi per partecipazione a banda armata e associazione sovversiva. La colonna genovese delle Br decise per una punizione esemplare e il 24 gennaio 1979 attese Rossa sotto casa, uccidendolo.
Era la prima volta che le Br sparavano contro un operaio, per di più iscritto al Pci.
Si trattò di un errore politico di estrema gravità. Non solo perché Rossa rimase ucciso. Anche il suo ferimento avrebbe provocato all'interno della classe operaia una reazione di indignazione.
Nonostante all'interno dell'esecutivo si comprese immediatamente la gravità del gesto, l'uccisione di Rossa venne rivendicata con queste parole:

Mercoledì 24 gennaio, alle ore 6,40 un nucleo armato delle Brigate Rosse ha giustiziato GUIDO ROSSA, spia e delatore all’interno dello stabilimento ITALSIDER di Cornigliano dove per svolgere meglio il suo miserabile compito, si era infiltrato tra gli operai camuffandosi da delegato. A tale scopo era passato da posizioni notorie di destra ai ranghi berlingueriani. Sebbene da sempre, per principio, il proletariato abbia giustiziato le spie annidate al suo interno, era intenzione del nucleo di limitarsi a invalidare la spia come prima ed unica mediazione nei confronti di questi miserabili: ma l’ottusa reazione opposta dalla spia ha reso inutile ogni mediazione e pertanto è stato giustiziato. Il suo tradimento di classe è ancora più squallido e ottuso in considerazione del fatto che, il potere ai servi prima li usa, ne incoraggia l’opera e poi li scarica.
Compagni, da quando la guerriglia ha cominciato a radicarsi dentro la fabbrica, la direzione italsider con la preziosa collaborazione dei berlingueriani, si è posta il problema di ricostruire una rete di spionaggio, utilizzando insieme delatori vecchi e nuovi; da un lato ha riqualificato fascisti e democristiani, dall’altro ha moltiplicato le assunzioni di ex PS ed ex CC, dall’altro ancora ha cominciato a utilizzare quei berlingueriani che sono disponibili a concretizzare la loro linea controrivoluzionaria fino alle estreme conseguenze:
FINO AL PUNTO CIOE’ DI TRADIRE LA PROPRIA CLASSE, MANDANDO IN GALERA A CUOR LEGGERO UN PROPRIO COMPAGNO DI LAVORO.
L’obiettivo che il potere vuol raggiungere attraverso questa rete di spionaggio, non è solo quello propagandato della “caccia al brigatista o ai cosiddetti fiancheggiatori” ma quello ben più ampio ed ambizioso di individuare ed annientare all’interno delle fabbriche qualsiasi strato operaio che esprima antagonismo di classe.
E’ l’intero movimento di resistenza proletario che oggi è nel mirino di questa campagna di terrore controrivoluzionario, scatenata dal potere e sostenuta a tamburo battente dai loro lacchè berlingueriani: questa caccia alle streghe non colpisce solo chi legge e fa circolare la propaganda delle organizzazioni comuniste combattenti, ma anche chi lotta contro la ristrutturazione, chiunque si ribelli alla linea neocorporativa dei sindacati, chiunque anche solo a parole si dialettizza con la lotta armata, senza unirsi al coro generale di “deprecazione o condanna”. Una riconferma di tutto ciò viene dall’Ansaldo dove, come già successo alla Fiat e alla Siemens, i berlingueriani hanno consegnato alla direzione una lista coi nomi di operai “presunti brigatisti”, compilata anche in base agli interventi fatti nelle assemblee precontrattuali.
QUESTA E’ L’ESSENZA DELLA POLITICA BERLINGUERIANA ALL’INTERNO DELLE FABBRICHE, IL TENTATIVO CIOE’ DI DIVIDERE LA CLASSE OPERAIA CREANDO UNO STRATO CORPORATIVO, FILOPADRONALE E PRIVILEGIATO DA CONTRAPPORRE AGLI ALTRI STRATI DI CLASSE E PROLETARI.
A chi si presta a questa lurida manovra ai vari Rossa e a tutti gli aspiranti spia, ricordiamo che, proletari si è non per diritto di nascita ma per gli interessi che si difendono e all’interno di questa discriminante sapremo distinguere, come sempre, chi è un proletario e chi è un nemico di classe.
All’interno di questo progetto, Rossa faceva parte della rete spionistica dell’Italsider, come membro dei gruppi di sorveglianza interna, istituiti dai vertici sindacali per affiancare i guardioni nei compiti di repressione antioperaia. ECCO QUAL’ERA IL SUO VERO LAVORO!! La sua grande occasione, nella quale ha raccolto i frutti di tanto costante e silenzioso lavoro è venuta il giorno in cui è riuscito a consegnare al potere un operaio che conosceva e assieme al quale lavorava da anni, il compagno Franco Berardi, “reo” di aver avuto per le mani propaganda della nostra organizzazione.
La conferma del rapporto diretto tra spioni e direzione si capisce dal fatto che Rossa, dopo aver pedinato per ore il compagno Berardi, insieme al suo degno compare Diego Contrino E’ ANDATO DIRETTAMENTE IN DIREZIONE a denunciarlo, mettendo di fronte al fatto compiuto lo stesso Consiglio di fabbrica che infatti si era spaccato quando i bonzi sindacali gli avevano imposto di coprire politicamente l’azione di spionaggio.


Era vero che il Pci, in collaborazione con i carabinieri di Dalla Chiesa, stesse organizzando un controllo nelle grandi fabbriche per individuare i brigatisti. Si trattava, però, di un conflitto all'interno della medesima classe sociale, che non poteva o doveva essere risolto con le armi.
Ai funerali di Rossa parteciparono decine di migliaia di persone mentre le Br persero consenso e credibilità.
La figlia Sabina, che all'epoca dell'uccisione del padre aveva solo 7 anni, avrebbe cercato i componenti del nucleo brigatista all'inizio degli anni duemila, riuscendo ad incontrarne alcuni.
Scritto un libro sulla vicenda, è divenuta senatrice dell'Ulivo nel 2006. Attualmente è deputata nel gruppo del PD.
Berardi si uccise nel carcere di Cuneo il 24 ottobre 1979. Da quel momento la colonna genovese assunse il suo nome, ma fu praticamente debellata nel marzo 1980 con la strage di via Fracchia, a pochi metri dalla casa di Rossa.



Fonte:

http://primadellapioggia.blogspot.it/2013/01/una-tragedia-operaia.html 

Nel gennaio del '77 l'evasione di Franca Salerno e Maria Pia Vianale

24 gennaio 1977: Evasione Nap 


 Giovedì 24 Gennaio 2013 01:09 


I primi mesi del 1977 furono caratterizzati, in tutta Italia, da numerose rivolte all’interno delle carceri e da un consistente numero di evasioni da parte di militanti politici.
Tra queste si annovera quella di Franca Salerno e Maria Pia Vianale, militanti dei Nuclei Armati Proletari, avvenuta nella notte tra il 22 e il 23 Gennaio; grazie ad un’azione coordinata tra l’interno e l’esterno dell’edificio, le due militanti riuscirono infatti ad evadere dal carcere femminile di Pozzuoli in cui erano rinchiuse in attesa del processo.
Il progetto di fuga comprendeva inizialmente anche la terza compagna di cella delle due Nappiste, Rosaria Sansica, la quale decise però di rinunciare perché aveva ottenuto qualche tempo prima la libertà provvisoria per motivi di salute.
In quel periodo l’azione dei NAP era rivolta soprattutto alla liberazione dei militanti arrestati e a far sì che i processi in cui erano coinvolti non potessero aprirsi (obiettivo che veniva perseguito creando difficoltà a formare la giuria popolare e tramite una serie di proclami e ricusazioni volti a vanificare l’intero procedimento processuale), motivo per cui l’evasione fu programmata in concomitanza con il primo processo ai NAP che si stava svolgendo a Napoli, in cui erano imputate anche Franca Salerno e Maria Pia Vianale.
Questa linea d’azione venne tra l’altro ribadita nel comunicato diffuso dall’organizzazione subito dopo la fuga dal carcere di Pozzuoli, in cui si legge: “La nostra libertà come è dovere di ogni rivoluzionario ce la riprenderemo da soli evadendo. Dalle carceri dai ghetti dove ci costringe la società borghese usciremo con le nostre forze. L’evasione è un momento della nostra lotta alla repressione di Stato”.
Il ciclo di evasioni e rivolte mise in difficoltà le autorità carcerarie che, nel caso di Pozzuoli, licenziarono il Direttore del carcere nel tentativo di ricondurre a una negligenza della direzione quella che in realtà era un’azione politica su scala nazionale che non poteva non destare preoccupazione in chi quotidianamente si affannava a garantire un ordine ormai ampiamente compromesso.
Il 24 Gennaio, in sede processuale, la fuga delle due Nappiste venne rivendicata tramite la lettura del seguente comunicato:“Sabato 22 Gennaio, alle ore 4, l’organizzazione comunista combattente NAP ha attaccato il carcere-lager di Pozzuoli. L’azione tendente alla liberazione delle compagne Franca Salerno e Maria Pia Vianale, militanti dell’organizzazione, si è sviluppata con un attacco coordinato interno-esterno ed ha raggiunto in pieno l’obiettivo fissato...il terreno reale dello scontro si sviluppa ora totalmente all’esterno dell’aula...è solo sulla parola d’ordine “portare attacco al cuore dello Stato” che si supera la parzialità delle esperienze di lotta armata e si ricompone l’unità della classe delle sue avanguardie armate nel partito combattente”.
Il processo si protrasse fino al 16 Febbraio, data nella quale la Corte inflisse 289 anni e 11 mesi di carcere a 22 nappisti (nonostante molti degli imputati si fossero dichiarati non appartenenti all’organizzazione).
Al dato delle condanne va però affiancato il percepibile clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni che permeò l’aula per l’intera istruttoria: l’evasione di Franca Salerno e Maria Pia Vianale, infatti, non aveva certo contribuito a ristabilire la certezza dell’ordine e della legge.
Le due militanti, sfuggite alle condanne di Febbraio, furono però nuovamente catturate il 1 Luglio, a Roma, assieme ad Antonio Lo Muscio, che rimase ucciso durante l’arresto in seguito ad una pallottola sparata a bruciapelo dalla polizia che lo raggiunse alla testa mentre si trovava già a terra.
Franca Salerno e Maria Pia Vianale furono invece rispettivamente condannate a 7 anni e 5 mesi ed a 13 anni e 5 mesi.
Il clima di tensione, di “caccia all’uomo” e di violenza gratuita da parte degli agenti che caratterizzò le circostanze del loro arresto (nonché altri episodi) è ben descritto in un’intervista rilasciata da Franca Salerno alcuni anni dopo:
“Sì, loro ti cercano, ti pedinano e quando ti catturano ti massacrano di botte. Per quei tempi era normale. Gridavano: “Ammazziamole, facciamole fuori”. Se non ci fosse stata la gente a guardare dalle finestre sarebbe stata un’esecuzione. A Pia hanno sparato perché si era mossa. Ricordo i loro occhi, dentro c’era rabbia e eccitazione; erano fuori di sè perché eravamo donne. Averci prese, per loro, era una vittoria anche dal punto di vista maschile“.
Fonte: