Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


mercoledì 25 aprile 2012

Gaetano Amoroso





Gaetano Amoroso, insieme ad altri compagni del Comitato rivoluzionario antifascista di porta Venezia, fu aggredito e accoltellato la sera del 27 aprile 1976, in via Uberti, da un gruppo di fascisti.
Aveva 21 anni, lavorava all'Acfa come disegnatore di fibbie e, studente-lavoratore, di sera frequentava l'ultimo anno del corso serale presso la Scuola artistica del Castello che oggi porta il suo nome.
Era entrato giovanissimo a far parte della lega degli artisti del Vento rosso, organismo di massa del Partito comunista marxista leninista, nella quale aveva trovato il modo di esprimere le sue esigenze politiche e artistiche, dipingendo murales.
Nella fabbrica, in cui lavorava col padre, si era impegnato con altri operai in una autogestione di mesi contro la chiusura della stessa; nel quartiere si batteva contro le speculazioni edilizie, partecipando all' occupazione della casa di piazza Risorgimento.
La presenza fascista all'interno del quartiere in cui viveva e una forte spinta antifascista dopo l'uccisione di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi lo spinsero a creare ed organizzare, insieme ad altri compagni, il Comitato antifascista di porta Venezia.
Fu a causa del suo impegno democratico e antifascista che, la sera del 27 aprile venne aggredito da un gruppo di noti squadristi (Cavallini, Folli, Cagnani, Pietropaolo, Terenghi, Croce, Frascini, Forcati), tutti provenienti alla sede del Msi di via Guerrini.
Gli otto assassini fascisti furono arrestati poche ore dopo il fatto: l'accusa iniziale di aggressione fu trasformata, quando il 30 aprile Gaetano morì per le ferite subite, in quella di omicidio premeditato e tentato omicidio pluriaggravato, quest'ultima per il ferimento di due compagni di Amoroso.

Fonte:

Paolo Rossi


Scheda a cura di Guido Panvini

Il 27 aprile 1966 attivisti neofascisti del raggruppamento Caravella provocarono violenti incidenti all'interno della facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università La Sapienza di Roma in occasione del rinnovo dell'organismo rappresentativo degli studenti (ORUR). Nei tafferugli venne colpito Paolo Rossi, studente di architettura iscritto al Psi, che, sentitosi male, precipitò dal muretto che delimitava dalla parte destra la sommità della scalinata della facoltà di Lettere, morendo poi nella notte.
Le aggressioni dei gruppi fascisti, che ancora negli anni '60 avevano all'interno dell'ateneo romano un non trascurabile seguito, erano maturate in un clima segnato dall'attivismo politico degli studenti e dei professori democratici. Nell'anno accademico 1963-1964, infatti, era stato inaugurato il primo corso di storia contemporanea dedicato all'antifascismo.
La morte di Paolo Rossi accelerò i processi di democratizzazione all'interno dell'ateneo. La reazione emotiva, infatti, fu fortissima. Nella sera venne immediatamente occupata la facoltà di Lettere, poi sgomberata dalla polizia per disposizione del rettore Ugo Papi. L'indomani mattina dopo un'infuocata assemblea, dove intervenne Ferruccio Parri, nonostante i tentativi di provocazione da parte degli studenti di destra, di fronte ai quali la polizia non intervenne, otto facoltà ed istituti furono occupati per protesta.
Una grande folla partecipò ai funerali di Paolo Rossi, celebrati nel piazzale della Minerva, al centro della città Universitaria, davanti al rettorato. La protesta montò nei giorni seguenti. Studenti e docenti, riuniti nei comitati unitari interfacoltà, scavalcando gli organi tradizionali, chiesero lo scioglimento delle formazioni neofasciste, la sostituzione dei commissari di polizia presenti il giorno degli incidenti, la democratizzazione degli organi di governo e le dimissioni del rettore Ugo Papi, accusato di aver protetto l'attività dei gruppi fascisti. Solamente quest'ultima richiesta venne accolta nelle settimane successive.
Nonostante il clamore suscitato dalla protesta studentesca, il giudice istruttore dichiarò non doversi procedere per il delitto di percosse che aveva causato la morte di Paolo Rossi perché gli autori erano rimasti ignoti.

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25 APRILE SEMPRE



















martedì 24 aprile 2012

GENOCIDIO ARMENO

Armeni impiccati ad Aleppo nel 1915




 
24 aprile 1915.
Il mondo commemora questa data come l’inizio del primo genocidio del secolo XX. L’inizio di una campagna d’annientamento lanciata dalle parole di Talaat Pasha, leader turco ottomano: “Uccidete ogni donna, bambino e uomo armeno senza preoccuparvi di nulla”. 

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venerdì 20 aprile 2012

BOICOTTIAMO LA FORMULA UNO IN BAHRAIN

Venerdì 20 Aprile 2012 09:11

Bahrein. Diritti fermi ai box, va in pista la rivolta

di  Michele Giorgio

 

Il circo della Formula Uno sbarca nell'emirato e la monarchia assoluta protetta da Arabia saudita e Usa intensifica la repressione. Ma la domanda di libertà e riforme non si placa.
Il Gran premio fortemente voluto da re Hamada diventa una vetrina per la protesta Uccisioni, arresti e censura, l'opposizione annuncia «tre giorni di rabbia»

Il Bahrain è una polveriera. La repressione scatenata nelle ultime settimane dagli apparati di sicurezza, con la partecipazione attiva di vigilantes sunniti alleati della monarchia assoluta, non è servita a placare la rabbia di chi chiede riforme e diritti. La decisione di re Hamad bin Isa al Khalifa di confermare il Gran Premio di Formula Uno, previsto domenica sul circuito di Sakhir, si è rivelata un tremendo boomerang.
Il Gp che nei desideri del re avrebbe dovuto dare al mondo l'idea di un Bahrain normalizzato, invece sta dando risultati opposti. I leader della protesta - spinti anche dalla battaglia dell'attivista dei diritti umani Abdelhadi al Khawaja che da due mesi fa lo sciopero della fame in carcere - hanno deciso di usare la vetrina della Formula Uno per dimostrare che la rivolta contro la monarchia prosegue con rinnovata determinazione. Approfittando anche dell'arrivo di tanti giornalisti stranieri.
«È stata una scelta ben precisa quella fatta dal popolo del Bahrain - spiega la giornalista Reem Khalifa -, un modo per attirare l'attenzione su quanto accade nel paese. La comunità internazionale per un anno intero ha chiuso gli occhi di fronte all'ansia di libertà e democrazia dei bahraniti». Non pochi reporter però si sono visti rispedire indietro all'arrivo all'aeroporto di Manama, tra i quali i due corrispondenti dell'Ap a Dubai - che nell'ultimo anno hanno dato ampia copertura a quanto accade in Bahrain - e anche un giornalista italiano.
L'organizzazione Reporter Senza Frontiere ha attaccato con forza la monarchia bahranita per il trattamento che riserva ai giornalisti, a cominciare da quelli locali. «Il Bahrain è uno dei posti più pericolosi al mondo per i giornalisti. Reporter Senza Frontiere considera il re di Bahrain come uno dei nemici della libertà di stampa», ha scritto in un comunicato Rsf. Nelle manifestazioni, i giornalisti e innanzitutto i fotografi sono minacciati sistematicamente e aggrediti. «Molti - prosegue il comunicato - sono stati fermati e condannati al carcere dai tribunali militari. Nelle prigioni la tortura è all'ordine del giorno».
Persino peggiore è la sorte che attende gli attivisti della rivolta. La repressione è stata durissima nelle ultime settimane. «Dal 14 aprile sono almeno 80 le persone residenti nei villaggi intorno a Manama arrestate e sbattute in prigione. Si tratta degli organizzatori delle manifestazioni tenute nei giorni scorsi e il regime li ha bloccati come misura preventiva. Ma non è servito a nulla, perché il popolo scende in strada comunque, senza timore», riferisce Mohammed Maskati, presidente del Bahrain Youth Society for Human Rights.
E se la monarchia ha fatto alzare nella capitale giganteschi cartelloni pubblicitari che esaltano il Gp di Sakhir, l'opposizione ha issato nelle strade di Sanabis e altri villaggi sciiti teatro di continui scontri con la polizia, striscioni con la scritta «Il popolo vuole la caduta del regime». Martedì migliaia di bahraniti avevamo accolto al grido di «Libertà non Formula Uno», piloti, meccanici e direttori di corsa diretti al circuito di Sakhir. Le prossime ore potrebbero dare un'ulteriore spinta alle proteste. Il Movimento dei Giovani del 14 aprile ha annunciato «tre giorni di rabbia» in occasione delle due sessioni di prove e del Gp di domenica. Da parte sua il partito Wefaq, la più importante delle forze politiche di opposizione, ha annunciato una settimana di manifestazioni e sit-in. Iniziative volte a spostare i riflettori su di una rivolta nata sull'onda di quelle avvenute in Egitto e Tunisia ma che molti fingono di non vedere.
Hamad bin Isa al Khalifa è un monarca assoluto ben protetto. Innanzitutto dall'Arabia saudita che un anno fa lo aiutò con truppe e mezzi blindati a spazzare via la tendopoli di Piazza della Perla, il cuore della protesta popolare. Ma anche dagli Stati Uniti che a Juffair, alla periferia di Manama, hanno la base della V Flotta che pattuglia e controlla il Golfo e, più di tutto, tiene costantemente sotto tiro l'Iran. Riyadh e Washington tacciono su ciò che accade in Bahrain, chiudono gli occhi sulle violazioni dei diritti umani e politici a Manama e invece denunciano con forza quelle in Siria. Le vittime ufficiali della repressione in Bahrain rimangono sempre 35 mentre in realtà sarebbero quasi 90, non poche della quali morte a causa di gas lacrimogeni sparati nelle case e in spazi chiusi. Di fronte a ciò i piloti della Formula Uno non sanno far altro che ripetere che «lo sport è un'altra cosa» e che non può rimanere coinvolto in questioni politiche. «Non è giusto, siamo qui solo per correre e certe cose non dovrebbero accadere», protesta Nico Hulkenberg, driver della Force India, dopo che mercoledì sera quattro membri della sua scuderia erano rimasti coinvolti, senza danni, in scontri tra dimostranti e polizia (una bottiglia molotov è caduta vicino alla loro automobile). «La F1 è divertimento e queste cose non dovrebbero coinvolgerci» aggiunge Hulkenberg, che invece dovrebbe indirizzare le sue critiche nei confronti del patron della Formula Uno Bernie Ecclestone. Il quale, pensando agli introiti pubblicitari e agli incassi derivanti dal Gp, ha confermato una corsa che invece andava annullata.
Ecclestone si è fidato delle garanzie degli al Khalifa, decisi a non rinunciare per il secondo anno consecutivo alla Formula Uno. A nulla sono serviti gli avvertimenti lanciati ad inizio aprile dall'ex campione del mondo Damon Hill e la decisione presa qualcher giorno fa del team MRS di rinunciare alla gara della Porsche SuperCup in Bahrain. Gli affari prima di tutto, i diritti dei popoli oppressi vengono dopo.